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FOTOGRAFO/INSTAGRAMMER

FOTOGRAFO/INSTAGRAMMER

Andrea Orzini, 23 anni, fotografo e videomaker. Carlotta Mariani, 28 anni, farmacista e instagrammer. Un confronto a suon di flash, da camera o da smartphone, nell’era in cui la linea fra hobby e professionismo è sempre più sottile

Come stai?
Andrea: «Sono sereno e, per me, è la condizione mentale ideale per trovare l’ispirazione e lasciar fluire l’estro e la creatività. Mi sento carico e determinato per fare sempre meglio nella vita privata e lavorativa. Direi che sto bene».
Carlotta: «Il lockdown è stato pesante per molti e per i motivi che tutti conosciamo. Ora sappiamo come comportarci e che sconfiggere la pandemia dipende anche dai nostri comportamenti. Non è un atto di fiducia, ma una promessa di impegno che accomuna tutti noi. Personalmente decido di impegnarmi ogni giorno, anche per realizzare i mille progetti che ho in mente».

Analogico o digitale?
A: «Si tratta di due stili completamente diversi che danno risultati altrettanto differenti: personalmente prediligo il digitale, perché ho la possibilità di vedere subito lo scatto e, se non sono tecnicamente soddisfatto, ho la libertà di ripeterlo tutte le volte che voglio».
C: «Decisamente il digitale. La mia passione è la street photography e questa tecnica mi consente un’immediatezza nello scatto che, adottata in strada, oltre che pratica, è ideale per catturare l’unicità del momento».

Come definiresti il tuo stile?
A: «È una domanda che io stesso mi pongo da un po’ di tempo. Fotografo professionalmente da cinque anni, ma non ho ancora trovato una direzione precisa. Sono versatile e sto ancora sperimentando: ogni scatto è ispirato dalle emozioni del momento e questo è un aspetto importantissimo, perché mi permette di essere ancora più libero e creativo. Per ora, scatto ciò che mi piace e lascio il giudizio all’occhio di chi guarda».
C: «Totalmente basato sulla realtà e sulla naturalezza. Catturo le immagini così come sono: mi piace fissare l’emozione dell’attimo e non stravolgere ciò che ho immortalato. Mi piacerebbe che lo spettatore avesse la sensazione di essere esattamente dentro la mia foto. Vorrei che rivivesse genuinamente ciò che ho provato io nel momento dello scatto».

I tuoi soggetti preferiti?
A: «Ho tre grandi passioni che amo trasformare in immagini: la ritrattistica, l’architettura e lo sport».
C: «Le persone, perché rappresentano le emozioni. Attraverso loro possiamo ricavare tre elementi fondamentali: senso, progettualità e racconto. Ed è proprio il racconto che rende una foto “buona” piuttosto che “bella”: la bellezza è soggettiva. Una persona, anche se non è al centro dell’immagine o è in lontananza, è sempre protagonista».

Quali suggerimenti daresti ad un neofita per ottenere uno scatto degno di nota?
A: «Provare, provare a ancora provare. Il mio lavoro si basa sulla pratica continua e si impara sul campo. È fondamentale ascoltare le critiche, accettarle e utilizzarle per guardare le tue foto da un altro punto di vista. Solo così è possibile migliorare. Il mio motto è: Fail il till you make it».
C: «Fermare un momento quando lo si sente proprio. Catturare in uno scatto l’emozione dell’attimo. Far emergere il racconto e, come ho detto, fare una “buona” foto anziché “bella”. La fotografia deve saper raccontare qualcosa. E, non da ultimo, deve essere spontanea».

Cosa ti distingue dal/la tuo/a dirimpettaio/a?
A: «I social hanno permesso a tutti di condividere le proprie foto. A un occhio più attento, però, non sfuggono dettagli tecnici che non possono essere trascurati: l’inquadratura, la luce o il bilanciamento. Ad esempio, l’utilizzo dei filtri preimpostati non garantisce lo stesso risultato di una post-produzione professionale e mirata: è un lavoro lungo che presuppone studio e tanta pratica».
C: «Lo studio della tecnica: al momento, non ho basi solide come quelle di un fotografo professionista. Ciò non toglie che mi piacerebbe molto, magari non nell’immediato, approfondire la mia passione, perfezionandola e studiando le varie tecniche. Sono lontana dai livelli di Andrea, per esempio, ma ho ricevuto parecchi apprezzamenti e posso ritenermi soddisfatta».

Il tuo modo di scattare è cambiato dopo il lockdown?
A: «La quarantena ha dato una forte scossa al mio “io interiore”: non avendo stimoli mi sono sentito poco creativo e, in alcuni momenti, mi sono lasciato prendere dall’apatia. Quando ho ripreso contatto con il mondo esterno è esplosa la voglia di fare di più e andare ancora più a fondo nelle cose».
C: «Non credo. Anche durante il lockdown ho continuato a lavorare fuori casa, sono rimasta fedele alla mia visione e alla centralità della persona. Vivendo in una via privata dove si affacciano diverse palazzine, ho avuto modo di scattare e parlare con parecchie persone alle finestre o dai balconi. Sono stati scambi di emozioni molto intensi».

Milano è?
A: «Sentimenti contrastanti: frenesia e pace. Da un lato, la città è caotica e ti costringe a essere sempre di corsa. Dall’altro, Milano offre talmente tanti stimoli che chiunque può trovare almeno un luogo dove stare bene e in pace con se stesso».
C: «Due parole. La prima: movimento, inteso come essenza e ricerca costantemente dello star bene. La seconda: “start”. Milano è una città ricca di stimoli, in grado di offrire infinite opportunità. Un trampolino di lancio unico per tutti quelli che hanno voglia di fare e di crescere».

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